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Home/India/Cosa mi ha insegnato Varanasi
Varanasi

Cosa mi ha insegnato Varanasi

Varanasi

Si dice che Varanasi sia la città più vecchia del mondo e, ad un primo impatto, non stento a crederlo. Mi viene da paragonarla ad una vecchia signora piena di rughe e sull’orlo di una crisi di nervi. Una città logorata che scoppia di ogni genere di umanità.

Non riesco a definire Varanasi una “città” nel nostro senso del termine, quello occidentale. Varanasi è un gomitolo di stradine strette, colorate, sporche e maleodoranti nelle quali è impossibile mantenere orientamento. Ogni centimetro quadrato è riempito di qualcosa, vivo o morto che sia.

Non ho ancora rielaborato l’insieme di immagini, sensazioni, odori e suoni con cui il mio cervello è stato letteralmente bombardato durante il giorno e mezzo trascorso a Varanasi, la città sacra dell’Induismo.

Tanti sono i punti di domanda che vagano senza risposta nella mia testa ma, seppur ancora titubante nelle conclusioni, altrettanti sono gli insegnamenti che credo di aver tratto da questa esperienza.

Varanasi

Varanasi mi ha insegnato il confronto con la diversità. Un confronto che deve essere per forza senza giudizi, astratto il più possibile dalla cultura che mi appartiene. Ho cercato di farmi invisibile tra le vie della città vecchia e sulla barca a remi sgangherata che ci ha cullati sul Gange, prima all’alba e poi al tramonto. Ho preso i valori, le morali e gli ideali di accettabilità tipicamente occidentali e li ho messi da parte.

Credo che l’imparzialità sia la chiave per capire – o per lo meno provare a capire – questo posto incredibile di nome Varanasi. Altrimenti si rischia di esserne travolti. Altrimenti si rischia di inorridire di fronte a tanta sporcizia, scandalizzarsi di fronte alla cremazione in pubblica piazza, sclerare in mezzo al frastuono delle contraddizioni.

Sono giunta a Varanasi perché volevo vedere, volevo sentire cosa Varanasi fosse veramente. Volevo assistere alla cremazione dei defunti sul Manikarnika Ghat. Volevo vedere con i miei occhi un rito unico nel suo genere, proprio perché svolto nel posto più sacro per eccellenza.

Varanasi

Nonostante i buoni propositi di imparzialità, alla vista della prima pira bruciante un brivido è partito dalla pianta dai piedi e mi ha attraversata centimetro per centimetro fino alla base della nuca.

Ho osservato in silenzio per una decina di minuti.

Il Ghat principale preposto alle cremazioni è appunto il Manikarnika Ghat. È il Ghat più decadente che abbia mai visto, annerito dalle ceneri e annebbiato dal fumo sprigionato dalle pire brucianti.

Vedo una catasta di legno diligentemente impilata e, a mezza altezza, un paio di piedi coperti da un telo bianco sbucare dalla geometria perfetta dei ciocchi. Il bramino sta dando l’ultima benedizione, la pira viene cosparsa di polvere di sandalo e il dom si appresta ad accendere il fuoco con un fascio di paglia secca. Scopro poi che gli uomini vengono coperti da un telo bianco mentre le donne da un telo giallo e arancione, come quello che, nel giro di pochi minuti, vedrò passare accanto al rogo appena avviato.

Le donne non possono partecipare alla cremazione. Una legge ne ha introdotto il divieto per evitare il sati ovvero il suicidio delle mogli dei defunti le quali si gettavano sulla pira bruciante per ricongiungersi al marito.

Alcune persone credono che assistere ad un evento simile sia tanto dissacrante quanto irriverente nei confronti del defunto e della sua famiglia. In realtà, seppur all’inizio un po’ intimorita, non mi sono sentita un’intrusa. La morte, per gli induisti, è solo l’epilogo di un capitolo della propria vita.

Moravia scriveva:

…nel rogo non si consuma un essere umano unico e irripetibile bensì un vestito logoro che non serve più, una pelle vecchia che viene abbandonata per una nuova

Non ho visto tristezza nel volto di nessuno. Nessuna lacrima, nessuna disperazione. Piuttosto, tanta speranza.

Varanasi

Varanasi mi ha insegnato, o meglio, mi ha confermato, che la fede muove il mondo. Oppure lo rende immobile. In India, e soprattutto a Varanasi, questo è estremamente evidente: la fede muove i pellegrini fino alle rive del Gange per pregare, lavarsi, dissetarsi o morire. Per rompere il ciclo delle continue reincarnazioni e liberare l’anima per l’eternità.

Ma la fede è anche uno dei principali motivi di immobilismo del popolo indiano verso un’esistenza più dignitosa. La fede induista parte dall’accettazione del dolore come un dato di fatto. Come un dato di fatto sono le caste, alle quali non ci si può sottrarre. È giusto quindi che gli intoccabili debbano soffrire, perché questo è il loro Karma. Non esiste possibilità di miglioramento della condizione personale e sociale se non attraverso la morte.

Il fatalismo del popolo indiano è innegabile.

Non riesco ad immaginarmi un progresso sociale per la mia amatissima India. Un Paese che sopravvive nel suo precario equilibrio e che sembra collassare da un momento all’altro. Un Paese il cui sinonimo è “contraddizione”, persino nella religione.

Che poi, è contraddizione per un occidentale, ma non per loro.

Varanasi

Ma c’è una cosa che né Varanasi né l’India mi hanno insegnato: riuscire a distinguere tra chi ha veramente bisogno delle rupie insistentemente elemosinate e chi invece cerca solo di fregarti.

L’India è il palcoscenico di fregature colossali, di raggiri da manuale, di insistenze senza fine. Ho visto “santoni” venirmi incontro scuotendo la scodella di latta e chiedendomi soldi in cambio di fotografie; ho visto guide benestanti storcere il naso per la mancia lasciata; il venditore di pashmine tirarmi insistentemente nel negozio e non mollarmi più.

Forse potevo fare di più. Forse non a tutti quelli cui ho detto “no, grazie” meritavano un rifiuto. Difficile saperlo.

Sono seduta al posto 27F del volo che da Delhi mi riporterà in occidente. Ho gli occhi lucidi perché so già che questa India, piena di contraddizioni, mi mancherà da morire. Dicono che l’India o la ami o la odi. Io decisamente la amo e non vedo l’ora di poterla riabbracciare.

Written by:
Elena Frigerio
Published on:
13 Gennaio 2017
Thoughts:
9 commenti

Categories: India

Interazioni del lettore

Commenti

  1. Sara Chandana

    14 Gennaio 2017 alle 11:08

    Che bel post! Sono stata a Varanasi per quasi un mese due anni fa e adesso ti leggo seduta a un baracchino a Pushkar. Mi ritrovo nelle tue parole. Un abbraccio da Mamma India.

    Rispondi
    • Elena Frigerio

      14 Gennaio 2017 alle 13:47

      Che incanto anche Pushkar! Anche se io all’inizio non l’ho compresa in pieno.
      Salutami Mamma India e buon viaggio Sara!

      Rispondi
  2. Tiziana - lavaligiainviaggio

    14 Gennaio 2017 alle 11:47

    L’ essenza dell’ India è nel tuo post. Uno dei più belli che abbia mai letto sul web. Uno di quelli che vanno letti e riletti. Non aggiungo altro, non voglio rompere l’incanto che c’è nelle tue parole. Ciao Elena.

    Rispondi
    • Elena Frigerio

      14 Gennaio 2017 alle 13:45

      Grazie Tiziana, mi fa davvero tanto piacere essere riuscita a trasmettere le mie emozioni. 🙂

      Rispondi
  3. Beatrice

    14 Gennaio 2017 alle 11:59

    Ho letto con molta attenzione e mi ci sono ritrovata appieno; ci sono stata esattamente un anno fa, per i tre giorni conclusivi del mio viaggio partito da Delhi.
    Posso dirti che a distanza di tutti questi mesi, l’ho sulla pelle ancor più di prima, passato l’effetto della sbornia che inevitabilmente ti lascia, ne ricomprendi ogni singolo passaggio…
    Pernottavo sul Gange a non più di 300 metri dal luogo delle cremazioni e posso dirti che, quel pugno sullo stomaco non mi ha mai abbandonato, ed è così che ricordo tutto il viaggio…
    Varanasi racchiude in un’unica essenza, un insieme di: colori, odori, frastuoni, puzza e religiosità che mai mi sarei aspettata di trovare.
    Dopo poco che ci sei immersa, dimentichi di appartenere ad un’altra realtà ed osservi con silenzioso rispetto, facendoti travolgere da nuovo stupore.
    Non so quando, ma ci tornerò!
    Quel pugno accompagna i miei ricordi… facendo affiorare un sorriso ogni volta!
    Grazie India Io ti ho Amata.

    Beatrice Cardinali .

    Rispondi
    • Elena Frigerio

      14 Gennaio 2017 alle 13:43

      Bellissime parole Beatrice! Non posso che concordare. Ora aspetto di maturare un pochino queste sensazioni, di farle decantare. 🙂
      Un abbraccio grande!

      Rispondi
  4. Stefania

    19 Febbraio 2018 alle 08:57

    Cara Elena, leggerti mi ha fatto tornare lí, a quella realtà così diversa, lacerante e a tratti incomprensibile che é l’India tutta e Varanasi in particolare. Hai ragione, a Varanasi bisogna avvicinarsi senza pregiudizi e sovrastrutture, con uno sguardo disincantato. Varanasi non è un punto di partenza, ma lo può diventare se si é capaci di interiorizzarla, e lo si può fare solo se ci si arriva dopo aver già sperimentato l’India, e dopo aver cercato di trovare le risposte a quelle domande che affolleranno la testa dal primo momento in cui metterete un piede in questa terra sacra e dissacrante.

    Rispondi
  5. Grazia

    29 Agosto 2018 alle 11:01

    Partirò per Varanasi tra un mese…non so cosa mi aspetta tante persone spalancano gli occhi spaventati quando pronuncio il suo nome…ma nel mio cuore sento che se la vivrò con l anima questa sarà l esperienza che modificherà ancora una volta il mio modo di vedere la vita..già 8 anni fa il sud di questa amata terra mi ha trasformata..un abbraccio il tuo post mi ha commossa

    Rispondi
    • Elena Frigerio

      29 Agosto 2018 alle 12:46

      Se l’India ti ha trasformata già una volta, questa sarà un’esperienza ancora più forte. Ti auguro di viverla al meglio. Grazie per le tue belle parole e buon viaggio!

      Rispondi

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